Newsletter Immobiliare - 1/2010 - IT
Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica
1. La nuova disciplina (fiscale, regolamentare e civilistica) dei fondi comuni di investimento
1.1. La modifica alla definizione di fondo comune di investimento
1.2. La separazione patrimoniale
1.3. Il procedimento di approvazione dei regolamenti
1.4. L’obbligo di adeguamento
1.5. L’imposta sostitutiva dovuta dai fondi immobiliari non conformi alla nuova disciplina civilistica
1.6. Il nuovo regime fiscale applicabile ai quotisti esteri
2. La nuova disciplina dei requisiti di forma degli atti aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali relativi ad immobili
3. La nuova disciplina degli atti dispositivi degli immobili degli enti previdenziali o assistenziali.
4.Le modifiche della disciplina della prededuzione dei crediti e della sospensione di azioni esecutive in alcune ipotesi di procedura concorsuale.
Senza la pretesa di fornire un'analisi completa ed esaustiva delle norme contenute nel Decreto, che in gran parte hanno natura settoriale e sono destinate a suscitare l'interesse di una platea piuttosto limitata di soggetti, riportiamo di seguito alcune considerazioni preliminari tese ad illustrare quattro specifiche fattispecie trattate nel Decreto, vale a dire:
- la nuova disciplina (fiscale, regolamentare e civilistica) dei fondi comuni di investimento;
- la nuova disciplina dei requisiti di forma degli atti aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali relativi ad immobili;
- la nuova disciplina degli atti dispositivi degli immobili degli enti previdenziali o assistenziali;
- le modifiche della disciplina della prededuzione dei crediti e sospensione delle azioni esecutive in alcune ipotesi di procedura concorsuale.
1. La nuova disciplina (fiscale, regolamentare e civilistica) dei fondi comuni di investimento
L'articolo 32 del Decreto in esame recita "Riorganizzazione della disciplina fiscale dei fondi immobiliari chiusi" e prevede quanto segue:
"1. […] al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), sono apportate le seguenti modifiche:
a) all'articolo 1, comma 1, la lett. j) è sostituita dalla seguente: "j) 'fondo comune di investimento': il patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissione di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell'interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi;";
b) all'articolo 36, comma 6, dopo le parole: "nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società", sono inserite le seguenti: "; delle obbligazioni contratte per suo conto, il fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio.";
c) all'articolo 37, comma 2, lettera b-bis), dopo le parole: "all'esperienza professionale degli investitori;" sono inserite le seguenti: "a tali fondi non si applicano gli articoli 36, comma 3, ultimo periodo, e comma 7, e l'articolo 39, comma 3."
2. Il Ministro dell'Economia e delle finanze emana, ai sensi dell'articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le disposizioni di attuazione del comma 1 entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
3. Le società di gestione del risparmio che hanno istituito fondi comuni d'investimento immobiliare che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono privi dei requisiti indicati nell'articolo 1, comma 1, lettera j) del predetto decreto legislativo n. 58 del 1998, come modificata dal comma 1, lettera a), adottano le conseguenti delibere di adeguamento entro trenta giorni dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2.
4. In sede di adozione delle delibere di adeguamento, la società di gestione del risparmio preleva, a titolo di imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, un ammontare pari al 5 per cento della media dei valori netti del fondo risultanti dai prospetti semestrali redatti nei periodi d'imposta 2007, 2008 e 2009. L'imposta è versata dalla società di gestione del risparmio nella misura del 40 per cento entro il 31 marzo 2011 e la restante parte in due rate di pari importo da versarsi, la prima entro il 31 marzo 2012 e la seconda entro il 31 marzo 2013.
5. Le società di gestione del risparmio che non intendono adottare le delibere di adeguamento previste dal comma 3 deliberano, entro trenta giorni dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2, la liquidazione del fondo comune d'investimento in deroga ad ogni diversa disposizione contenuta nel decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e nelle disposizioni attuative. In tal caso l'imposta sostitutiva di cui al comma 4 è dovuta con l'aliquota del 7 per cento, secondo modalità e termini ivi stabiliti.
[…]
7. Il comma 3 dell'articolo 7 del decreto-legge 25 settembre 2001, n, 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, è abrogato.
8. Sono abrogati i commi da 17 a 20 dell'articolo 82 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
[…]"
1.1 La modifica alla definizione di fondo comune di investimento
Da un punto di vista generale, come risulta dalla relazione illustrativa al Decreto (la "Relazione Illustrativa"), le modifiche alle norme in materia di fondi comuni di investimento sono "volte ad arginare il fenomeno dei fondi immobiliari cosiddetti "veicolo" contrastando l'utilizzo strumentale dei fondi comuni immobiliari a ristretta base partecipativa finalizzato al godimento dei benefici fiscali previsti dall'attuale normativa". A fronte di tale finalità, che può assumere rilievo anche ai fini dell'interpretazione delle norme rilevanti, deve tuttavia notarsi che le modifiche interessano poi, dal punto di vista civilistico e regolamentare, tutti i fondi comuni di investimento, impattando sulla definizione stessa di fondo.
Con riguardo alla modifica della definizione di fondo comune di investimento di cui all'art. 1, comma 1, j) del D.Lgs. n. 58/1998 ("TUF"), le principali novità rispetto alla previgente definizione sono le seguenti :
a) il patrimonio del fondo viene "raccolto" tra una pluralità di investitori;
b) la finalità del fondo è rappresentata dallo svolgimento di un'attività di investimento effettuata sulla base di una politica di investimento predeterminata;
c) la gestione del fondo deve essere condotta in autonomia dagli investitori e nel loro interesse.
Al Ministro dell'Economia e delle Finanze è demandato il compito di specificare, con proprio regolamento, le "disposizioni di attuazione del comma 1" (che contiene la suddetta definizione). Auspicabilmente tali disposizioni di attuazione consentiranno di meglio comprendere i predetti requisiti.
In attesa di tali disposizioni di attuazione sembra possibile ipotizzare che, al fine di assicurare il requisito di autonomia dai partecipanti, la normativa di dettaglio imporrà l'adozione regole di governance volte a ridurre le competenze dei comitati consultivi, in linea con il principio già accennato dalla Banca d'Italia nel documento di consultazione di revisione della disciplina secondaria in materia di gestione collettiva del risparmio del 16 marzo 2010.
Ancora, al fine di assicurare il requisito di tutela dell'interesse dei partecipanti, la normativa di dettaglio potrebbe prevedere una disciplina in materia di conflitti di interesse più rigorosa di quella attuale, se del caso intensificando i presidi che la società di gestione del risparmio ("SGR") deve adottare a tale riguardo.
Quanto al rafforzamento del requisito della pluralità dei partecipanti, non sembra agevole prevedere gli sviluppi futuri della normativa di attuazione; né sembra che la Relazione Illustrativa al Decreto contenga elementi di effettiva chiarezza, limitandosi a specificare che l'attuale regime fiscale (favorevole) dovrebbe essere circoscritto ai fondi "che gestiscono risparmio diffuso ed a quelli diretti a realizzare attività di interesse pubblico". Da ciò non sembra possibile trarre indicazioni concrete sul concetto di pluralità (sostanziale, formale, o con indicazione di un esatto numero di quotisti o di una precisa percentuale) che potrà essere dettato dalla disciplina di attuazione. Ciò detto, il riferimento ai fondi che gestiscono "risparmio diffuso" appare particolarmente significativo, in quanto sembra far riferimento a situazioni in cui le quote sono detenute da un rilevante numero di soggetti.
Si sottolinea, in definitiva, come l'effetto delle norme di dettaglio che verranno adottate dal Ministro, così come della nuova definizione di fondo già contenuta nel Decreto, sia proprio quello di incidere non solo sul piano fiscale, ma anche (ed ancor prima) su quello civilistico/regolamentare, andando a modificare la definizione stessa (e quindi il concetto) di fondo comune di investimento ed impattando sui rapporti e gli equilibri esistenti fra la SGR ed i partecipanti al fondo stesso.
Gli effetti di una modifica nel concetto di fondo comune di investimento potrebbero teoricamente giungere fino alla riqualificazione, anche sul piano civilistico/regolamentare di fondi già in essere ed operativi, tra l'altro con eventuali responsabilità delle SGR.
Si noti che la Relazione Illustrativa afferma che "viene consentito ai fondi esistenti di adeguarsi alle nuove norme civilistiche" con il pagamento delle imposte meglio descritte nel paragrafo 1.5 che segue. Auspicabilmente le norme di attuazione del Decreto prevedranno presupposti, modalità ed effetti di un tale "adeguamento", che potrebbe consentire di ridurre significativamente, per quel che concerne i fondi esistenti che si "adegueranno" validamente, le potenziali conseguenze civilistiche e regolamentari accennate nel capoverso precedente.
1.2 La separazione patrimoniale
Con la modifica dell'art. 36, comma 6 del TUF viene precisato che le obbligazioni contratte dalla SGR per conto del fondo risponde esclusivamente il fondo con il proprio patrimonio; e ciò, in coerenza con il requisito di separazione patrimoniale che caratterizza la nozione di fondo comune di investimento, inteso come patrimonio autonomo.
Si tratta di un principio già dettato dalle norme vigenti prima dell'entrata in vigore del Decreto, ma ora disciplinato in modo più chiaro, a tutela sia dei quotisti che delle società di gestione dei fondi.
1.3 Il procedimento di approvazione dei regolamenti
Con la modifica dell'art. 37, comma 2 lett. b-bis) viene meno la norma che in passato prevedeva la preventiva approvazione, da parte della Banca d'Italia, dei regolamenti di gestione dei fondi riservati ad investitori qualificati e delle modifiche degli stessi.
Tale modifica appare dover essere ricondotta all'assunto per cui in relazione a tale tipologia di fondi vi è una minor esigenza di tutela dei partecipanti, che dovrebbero appartenere a categorie di soggetti particolarmente attivi sui mercati finanziari o quanto meno a soggetti in possesso di specifica competenza ed esperienza in materia di strumenti finanziari.
Anche questa norma del Decreto dovrà auspicabilmente formare oggetto di specifiche disposizioni di attuazione volte a definirne più concretamente i profili applicativi e le implicazioni per le SGR e gli investitori. Tali eventuali norme di attuazione potranno essere d'aiuto nel valutare le possibili conseguenze per quel che concerne la prassi e i provvedimenti delle autorità di vigilanza, tanto in termini di comunicazioni preventive o successive cui le SGR saranno tenute, quanto in termini di potenziale responsabilità delle SGR.
Si può fin d'ora prevedere un'apprezzabile semplificazione e accelerazione dei processi necessari per l'avvio di nuovi fondi, alla quale farà però da contraltare la perdita di quella (seppur limitata) rassicurazione in merito alla legittimità del regolamento del fondo e delle previsioni in punto di autonomia ed indipendenza della SGR dai partecipanti, che in passato poteva essere tratta dall'avvenuta approvazione del regolamento stesso ad opera della Banca d'Italia. Detta perdita rivestirà presumibilmente ancora maggior rilievo alla luce di quanto menzionato al paragrafo 1.1 in merito alle incertezze attinenti ai nuovi requisiti dettati dal Decreto per l'ottenimento dello "status" di fondo comune di investimento.
1.4 L'obbligo di adeguamento
Inoltre, i fondi comuni di investimento esistenti che non rientrano nel concetto di "fondo" così come stabilito dalla definizione modificata dal Decreto (e come auspicabilmente sarà meglio specificata nella disciplina attuativa), dovranno:
(a) adeguarsi, assumendo le necessarie deliberazioni volte a conformare il fondo alle prescrizioni di legge, pagando un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi; o
(b) liquidare il fondo in deroga ad ogni altra disposizione del TUF, pagando una diversa (e maggiore) imposta sostitutiva delle imposte sui redditi.
Sul punto, restano da chiarire le modalità attraverso le quali l'adeguamento alla normativa dovrà essere realizzato.
Potrebbe essere necessaria un'apposita riunione dell'assemblea dei partecipanti che approvi le modifiche del regolamento del fondo necessarie ad allineare lo stesso con la nuova normativa. In tal caso, qualora la delibera dell'assemblea dei partecipanti avente ad oggetto la modifica del regolamento non sia approvata, per voto contrario dei partecipanti o mancato raggiungimento dei relativi quorum, la SGR dovrebbe presumibilmente avviare la liquidazione del fondo in deroga alle norme vigenti.
Tali obblighi a carico della SGR le attribuiscono una importante responsabilità nel valutare se il fondo sia o meno conforme alla nuova definizione legislativa. Sembra infatti essere responsabilità della stessa SGR valutare se ciascun fondo è o meno conforme alle nuove norme, e adottare le delibere conseguenti o se del caso avviarne la liquidazione. Si possono fin d'ora ipotizzare situazioni in cui, ad esempio, la SGR ed i partecipanti (o alcuni fra i partecipanti) non siano concordi sulla sussistenza, in capo al fondo, dei requisiti di pluralità, autonomia, e indipendenza stabiliti dal Decreto e, quindi, sull'applicabilità al singolo fondo degli obblighi di adeguamento o liquidazione . Ciò potrebbe generare situazioni di conflitto, rendendo peraltro complesso gestire nel frattempo l'adempimento degli obblighi di legge.
Non è chiaro neppure come andrà gestita l'ipotesi in cui, in sede di approvazione delle modifiche adottate ad un fondo non riservato ad investitori qualificati, la Banca d'Italia non ritenga che le stesse siano approvabili o comunque sufficienti allo scopo di adeguamento. Ancora, nel caso di fondi riservati ad investitori qualificati, l'eliminazione del vaglio preventivo della Banca d'Italia espone in sostanza la SGR al rischio che le modifiche adottate siano poi ritenute ex post non sufficienti al raggiungimento dello scopo previsto, derivandone così la violazione della disposizione del Decreto, con l'effetto di prolungare il periodo di incertezza in merito allo status di fondo e al regime applicabile allo stesso.
Peraltro, sempre in tema di adeguamento alle disposizioni, andrebbe chiarito, soprattutto per i fondi in essere, quale sia l'adempimento richiesto alle SGR in relazione al (rafforzato) requisito di pluralità: in altri termini non è chiaro di quali leve effettive la SGR disponga per assicurare il rispetto di tale requisito, se non al massimo della riapertura del periodo di sottoscrizione.
1.5 L'imposta sostitutiva dovuta dai fondi immobiliari non conformi alla nuova disciplina civilistica
Ai Come sopra menzionato in occasione dell'adozione delle eventuali delibere di adeguamento dei fondi immobiliari ai nuovi requisiti richiesti, la SGR dovrà provvedere a deliberarne l'adeguamento ed a prelevare un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 5% della media dei valori netti del fondo risultanti dai prospetti semestrali redatti nei periodi d'imposta 2007, 2008 e 2009. L'imposta dovrà essere versata in tre rate annuali, la prima delle quali dovrà essere corrisposta per un ammontare pari al 40% entro il 31 marzo 2011 e le successive, del 30% cadauna, rispettivamente entro il 31 marzo 2012 ed il 31 marzo 2013.
In caso di mancato adeguamento del fondo ai requisiti richiesti dalla nuova definizione civilistica, la società di gestione dovrà provvedere alla liquidazione dello stesso ed alla corresponsione, con le medesime modalità appena descritte, di un'imposta sostitutiva con la maggiore aliquota del 7%.
Tale disposizione non è immediatamente applicabile atteso che, al fine di individuare le modalità di attuazione della disposizione in esame, è prevista l'emanazione di un Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate entro 30 giorni dalla data di emanazione delle disposizioni da parte del Ministro dell'Economia e delle finanze, a loro volta attese entro 30 giorni dalla data di conversione del Decreto.
Si noti come dall'interpretazione letterale della norma sembra potersi affermare che l'imposta sostitutiva in analisi non trovi applicazione per i fondi istituiti successivamente all'entrata in vigore del Decreto. Restano in ogni caso da chiarire le conseguenze fiscali in capo ad un fondo istituito successivamente all'entrata in vigore del Decreto, qualora venga ritenuto non conforme alla nuova definizione civilistica.
Da ultimo la norma in esame (cfr. comma 8) ha previsto la soppressione dell'imposta patrimoniale per i fondi riservati e familiari, introdotta dall'articolo 82 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112.
1.6 Il nuovo regime fiscale applicabile ai quotisti esteri
L'articolo 32 del Decreto prevede inoltre (cfr. comma 7) l'abrogazione del regime di non imponibilità attualmente previsto per i proventi distribuiti dal fondo e percepiti, inter alia:
(a) da soggetti fiscalmente residenti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, così come elencati nella lista che dovrà essere emanata ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1 del D.P.R. 917/1986 (c.d. white list); e
(b) da enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia, investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti in Paesi inclusi nella white list di cui alla precedente lettera (a), e banche centrali o organismi che gestiscono anche riserve ufficiali dello Stato.
Pertanto, in virtù delle citate abrogazioni, in caso di investitori non residenti in Italia (privi di una stabile organizzazione in Italia a cui la partecipazione al fondo sia effettivamente ricollegabile), sui proventi derivanti dalla partecipazione al fondo immobiliare, vale a dire (a) i proventi, classificati come redditi di capitale ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera g del D.P.R. 917/1986, distribuiti in costanza di partecipazione, e (b) la differenza tra il valore di riscatto o liquidazione delle quote ed il costo di sottoscrizione o acquisto (documentato dal partecipante o in mancanza da dichiarazione sostitutiva), si renderà sempre dovuta una ritenuta del 20% a titolo d'imposta. A tal riguardo, sono attualmente in fase di studio le implicazioni connesse all'eventuale applicazione dei Trattati contro le doppie imposizioni alla fattispecie in analisi.
Le nuove disposizioni non modificano il regime attualmente previsto per le plusvalenze (e le minusvalenze), e pertanto in caso di investitori residenti o costituiti in Paesi white list e privi di una stabile organizzazione in Italia a cui la partecipazione al fondo sia effettivamente ricollegabile, le stesse continueranno a non concorrere a formare il reddito, ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del D.lgs. 461/1997.
2. La nuova disciplina dei requisiti di forma degli atti aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali relativi ad immobili
L'articolo 19, comma 14, del Decreto in esame prevede quanto segue:"All'articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, è aggiunto il seguente comma: "1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari."."
Sembra ragionevole ritenere che la norma possa essere in qualche misura collegata ai commi 8 e 9 del suddetto articolo, che prevedono l'obbligo di iscrivere in catasto i cosiddetti immobili "fantasma" (ossia non iscritti al catasto) e di aggiornare i dati degli immobili che abbiano formato oggetto di interventi edilizi (a) tali da determinare una variazione di consistenza o di destinazione dell'immobile stesso e (b) non risultanti dal catasto.
Sembra trattarsi pertanto di un intervento in qualche misura analogo a quello effettuato dalla legge 47/1985 e dal successivo D.p.r. 380/2001, che, come noto, prevedono la nullità degli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto diritti reali su immobili qualora da tali atti non risulti, per dichiarazione dell'alienante, l'indicazione in atto degli estremi dei provvedimenti edilizi ai sensi dei quali gli immobili stessi sono stati realizzati.
La norma del Decreto, approvata nel contesto di un provvedimento teso ad imporre l'accatastamento degli immobili, sanziona con la nullità degli atti la mancata dichiarazione di conformità dello stato di fatto alle risultanze catastali relative ai fabbricati oggetto degli atti stessi. Sembra trattarsi, in breve, di un tentativo di incentivare (indirettamente) l'accatastamento, sanzionando chi non provvede a tale accatastamento con la nullità dei successivi atti relativi al fabbricato non (correttamente) accatastato.
In merito appare comunque il caso di segnalare che - così come già avvenne per la legge 47/1985 e per il D.p.r. 380/2001- questo uso "improprio" della sanzione della nullità degli atti rischia di complicare notevolmente le operazioni immobiliari, con possibili conseguenze anche significative sul relativo mercato.
Infatti a seguito dell'entrata in vigore della norma (prevista per il 1 luglio 2010) prima di stipulare qualsiasi atto pubblico o scrittura privata autenticata avente ad oggetto fabbricati urbani sarà necessario:
(i) verificare (a cura del notaio) la corrispondenza degli intestatari catastali con gli effettivi titolari dei diritti sul fabbricato (come risultanti dai registri immobiliari), e se del caso procedere con gli opportuni aggiornamenti delle risultanze catastali. Tale verifica e l'eventuale aggiornamento, pur complicando il processo di stipula degli atti, potranno essere effettuati in modo relativamente agevole (anche in via telematica), e pertanto pur comportando un potenziale ritardo nelle operazioni immobiliari e eventualmente un loro maggior costo, non dovrebbero rappresentare un ostacolo insuperabile alla stipula dei relativi atti;
(ii) verificare la "conformità" allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie e se del caso procedere con gli opportuni aggiornamenti. Tale conformità dovrà formare oggetto di un'apposita dichiarazione in atto ad opera dell'intestatario. Questa ulteriore verifica, diversamente da quella di cui al punto i), potrebbe rivelarsi particolarmente complessa in quanto può richiedere una verifica, di natura tecnica, presso l'immobile stesso. Di certo ad oggi i notai non sono in grado di verificare lo stato di fatto del fabbricato, e pertanto ove l'intestatario del fabbricato non abbia una conoscenza approfondita della sua situazione di fatto, per consentire all'intestatario stesso di essere certo della correttezza della sua dichiarazione si renderà necessaria un'apposita verifica di natura tecnica, con gli inevitabili costi e ritardi conseguenti.
In merito alla verifica di cui al presente punto (ii) si noti inoltre che il concetto di "conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie" non è del tutto univoco. In base ad un'interpretazione sistematica della norma si potrebbe infatti ritenere che la predetta verifica debba essere limitata alle ipotesi in cui commi 8 e 9 dell'articolo 19 del Decreto che impongono l'accatastamento del fabbricato (per le ipotesi di fabbricati non accatastati) ovvero l'aggiornamento dei dati catastali (per le ipotesi in cui vi siano stati interventi sul fabbricato tali da variarne la consistenza o la destinazione). Questa prima interpretazione appare relativamente liberale, in quanto consentirebbe di limitare le ipotesi di nullità dell'atto (e le conseguenti verifiche) ai soli casi di carenze particolarmente gravi nei dati catastali. Al contrario, in base ad un'interpretazione letterale della norma, si potrebbe ritenere che per "conformità" si intenda l'assenza di qualsiasi discordanza (per quanto minima) tra lo stato di fatto dell'immobile e i dati catastali (basti pensare all'ipotesi delle opere interne). Tale seconda interpretazione (in qualche misura supportata dalla Relazione Illustrativa, che motiva la norma con l'esigenza di consentire l'aggiornamento del catasto, senza distinguere tra fattispecie più o meno rilevanti) condurrebbe inevitabilmente alla necessità di effettuare di volta in volta accertamenti particolarmente approfonditi sullo stato di fatto immobili dei fabbricati, accertamenti che in alcuni casi, come nell'ipotesi di trasferimento di ingenti patrimoni immobiliari molto frazionati e/o locati a terzi, possono rivelarsi particolarmente complessi.
Segnaliamo infine che la norma si applica ai soli atti in forma pubblica o di scrittura privata autenticata. Si potrebbe pertanto ipotizzare, in presenza di irregolarità catastali non facilmente sanabili, di sottoscrivere un atto in forma di scrittura privata "semplice" (che apparentemente ai sensi della norma non richiede le suddette verifiche della situazione catastale), per poi ripetere l'atto in forma pubblica una volta aggiornate le risultanze catastali. Tuttavia la sottoscrizione dell'atto per scrittura privata "semplice" non consentirebbe l'immediata trascrizione presso i registri immobiliari, e pertanto non sarebbe opponibile ai terzi, il che presumibilmente nella maggior parte dei casi rende questa soluzione non perseguibile.
3. La nuova disciplina degli atti dispositivi degli immobili degli enti previdenziali o assistenziali.
L'articolo 8, comma 15, del Decreto prevede quanto segue:
"Le operazioni dì acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle Finanze."
Si tratta chiaramente di una norma di particolare rilievo per tutte le operazioni di dismissione (e di acquisto) di immobili da parte di enti previdenziali o assistenziali (sia pubblici che privati). Ai sensi della norma, prima di porre in essere tali operazioni, nonché prima di utilizzare le somme ricavate dalle alienazioni di immobili o di quote di fondi immobiliari, gli enti dovranno ottenere un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali che verifichi "il rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica".
Si noti che dal testo della norma non è tra l'altro chiaro:
(i) cosa si intenda con tali "saldi strutturali", in particolare se la verifica deve essere limitata ai saldi del singolo ente (e in tal caso, per quale periodo di riferimento?) o se si deve tener conto di un perimetro più ampio, come sembrerebbe potersi desumere dal generico riferimento alla "finanza pubblica";
(ii) se, in caso di esito negativo della verifica, l'ente potrà o meno procedere con l'operazione, ad esempio dimostrando che l'operazione è tesa a migliorare i suddetti saldi strutturali;
(iii) se la norma si applica anche alle somme ricavate da operazioni poste in atto in passato; e
(iv) in quale momento debbano essere richiesti le verifiche e i decreti in oggetto, se solo quando l'operazione è stata ormai definita o anche in via preventiva, ad esempio ad inizio d'anno, per consentire tutte le operazioni pianificate durante un certo periodo di tempo.
La prassi applicativa della norma (e le eventuali ed auspicabili norme secondarie tese a chiarire fra l'altro i punti di cui sopra e la procedura da seguire) consentirà di comprenderne meglio l'ambito di applicazione, le conseguenze e le procedure che dovranno essere adottate per ottenere i decreti di cui sopra.
Quel che è fin d'ora certo è che le operazioni immobiliari che coinvolgono enti previdenziali richiederanno d'ora in innanzi un ulteriore adempimento formale a cura del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, con inevitabili ritardi nei tempi delle operazioni stesse e l'aggiunta di un elemento di incertezza all'operazione, che potrà essere di volta in volta risolto solo con l'emanazione del relativo decreto.
Non può inoltre escludersi un effetto "indiretto" di un'eventuale violazione della norma sui successivi trasferimenti di un immobile originariamente di proprietà di un ente previdenziale. Si pensi, a titolo esemplificativo, all'ipotesi in cui Tizio acquista la proprietà di un immobile da un ente previdenziale in violazione della suddetta norma del decreto (ad esempio perché l'ente previdenziale non ha richiesto il decreto del Ministro), e in un secondo momento Tizio rivende l'immobile a Caio. In base al tenore letterale della norma si potrebbe ipotizzare una nullità della vendita dall'ente previdenziale a Tizio, con potenziali conseguenze sulla compravendita da Tizio a Caio. Per escludere il rischio di un simile effetto sarebbe necessario, ogni volta che si vuole acquistare un immobile, verificare che lo stesso non sia stato di proprietà di un ente previdenziale nel periodo successivo alla data di entrata in vigore della norma ovvero, ove l'immobile sia stato di proprietà di un ente previdenziale nel periodo in oggetto, verificare che in tale occasione sia stato ottenuto il decreto del Ministro. Anche nell'ipotesi in cui il notaio che ha stipulato la cessione dall'ente previdenziale sia stato diligente e abbia allegato il decreto all'atto, la verifica comporterà ritardi e costi - la situazione sarà ovviamente ancora più complessa ove il decreto non sia stato allegato all'atto, in quanto in tal caso sarebbe teoricamente necessario andare a richiederne copia al Ministero.
4. Le modifiche della disciplina della prededuzione dei crediti e della sospensione di azioni esecutive in alcune ipotesi di procedura concorsuale.
L'articolo 48 del Decreto che recita "Disposizioni in materia di procedure concorsuali" ai commi 1 e 2 prevede tra l'altro quanto segue:
"1. Dopo l'articolo 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
"Art. 182-quater (disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti).
I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell'articolo 111.
Sono altresì prededucibili ai sensi e per gli effetti dell'articolo 111, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai soggetti indicati al precedente comma in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all'articolo 160 o dall'accordo di ristrutturazione e purché il concordato preventivo o l'accordo siano omologati.
In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo comma si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare.
[…]
2. Dopo il comma quinto dell'articolo 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, sono aggiunti i seguenti:
"Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la sussistenza delle condizioni per assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese.
II tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l'udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell'istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell'udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo è reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.
A seguito del deposito dell'accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma."."
Le norme di cui sopra appaiono tese a favorire ed agevolare la composizione delle crisi d'impresa. In particolare nell'ottica di promuovere, incentivare ed agevolare il raggiungimento di concordati preventivi ai sensi dell'art. 160 della legge fallimentare e l'adozione di accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182 bis di tale legge, la norma prevede:
(i) che i crediti derivanti da finanziamenti effettuati da banche o intermediari finanziari, o anche da soci (questi ultimi nel limite dell'80%), in esecuzione (o in funzione della presentazione) di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato
(ii) (anche successivamente) ai sensi della legge fallimentare siano "prededucibili" ai sensi dell'art. 111 della legge fallimentare (e pertanto godano di un trattamento di favore rispetto agli altri crediti); e
(iii) la possibilità di anticipare la sospensione delle azioni cautelari ed esecutive ad un momento precedente la pubblicazione (e la sottoscrizione) di un accordo con i creditori ai sensi dell'articolo 182 bis della legge fallimentare, e quindi anche nel corso delle relative trattative.
La modifica di cui al punto (i) potrebbe agevolare il reperimento di risorse finanziarie da parte delle imprese in crisi, consentendo ai soggetti disposti a fornire tali risorse di acquisire un significativo privilegio rispetto agli altri creditori (e quindi una maggior probabilità di ottenere il rimborso dei finanziamenti concessi). Appare particolarmente incisiva la possibilità per i soci di società in crisi di ottenere un privilegio nel rimborso di finanziamenti soci, in controtendenza con le altre norme recentemente introdotte nell'ordinamento (artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.), che tendono invece a subordinare il rimborso dei finanziamenti soci all'avvenuto rimborso dei creditori "terzi".
La modifica di cui al punto (ii) potrebbe invece consentire all'impresa in crisi un termine durante
il quale concludere le trattative con i creditori, senza dover temere che uno o più creditori avviino unilateralmente procedure esecutive o cautelari anche a meri fini di "disturbo". L'effettiva utilità di questa norma dipenderà probabilmente dai tempi di reazione delle autorità giudiziarie nel fissare le udienze previste dalla norma e nell'emettere il provvedimento e dal tipo di documentazione e di verifiche che tali autorità richiederanno per accertare la sussistenza dei presupposti per pervenire all'accordo di ristrutturazione. Infatti, tempi troppo lunghi o procedure di verifica molto approfondite potrebbero presumibilmente rendere più semplice la preventiva sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione.
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Restiamo a disposizione per fornire ulteriori chiarimenti in merito.
1In base alla precedente definizione (modificata dal Decreto), per fondo comune di investimento si intendeva “il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte; il patrimonio del fondo, sia aperto che chiuso, può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote”.
2Occorre tenere a mente che dalle scelte della SGR deriveranno significative conseguenze sul regime fiscale applicabile al fondo e pertanto potrà derivare un significativo "impoverimento" indiretto dei partecipanti. Basti pensare all'ipotesi in cui la SGR ritenga erroneamente di dover applicare le imposte sostitutive di cui al successivo paragrafo 1.5 ovvero, sempre erroneamente, ritenga di non dover applicare tali imposte e di non dover adeguare il regolamento del fondo, con conseguente applicazione dell'aliquota del 7% e/o delle ulteriori conseguenze che possono derivare dal mancato adeguamento.