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Newsletter Private Equity - 6/2011 - IT<br />
Prefazione
Editoriale: una breve panoramica sullo stato di salute del private equity
Trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 36 comma 1 bis del Decreto Legge n. 112/2008 e relativa autentica notarile
La quotazione delle SPAC e l’istituto del trust
Recenti orientamenti giurisprudenziali sulla natura del fondo comune di investimento
Le novità fiscali in tema di fondi immobiliari
L’Agenzia delle entrate chiarisce il regime fiscale degli incentivi ai manager
La deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di Leveraged buyout: novità giurisprudenziali
PrefazioneEditoriale: una breve panoramica sullo stato di salute del private equity
Trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 36 comma 1 bis del Decreto Legge n. 112/2008 e relativa autentica notarile
La quotazione delle SPAC e l’istituto del trust
Recenti orientamenti giurisprudenziali sulla natura del fondo comune di investimento
Le novità fiscali in tema di fondi immobiliari
L’Agenzia delle entrate chiarisce il regime fiscale degli incentivi ai manager
La deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di Leveraged buyout: novità giurisprudenziali
Questo nuovo numero della nostra Newsletter inizia con una breve panoramica sullo stato di salute del settore, fornendo alcuni flash, dati ed osservazioni sui maggiori trend di mercato anche a livello internazionale.
Segue una presentazione delle principali novità introdotte dal D. Legge n. 112/2008 relativo al trasferimento di partecipazioni in società a responsabilità limitata.
Proponiamo di seguito alcuni spunti sul processo di quotazione delle SPAC e l'istituto del trust.
Vi è poi una breve nota sulla sentenza del 15 luglio 2010 n. 16605 con la quale la Corte di Cassazione è intervenuta sull'identificazione della natura giuridica del fondo comune di investimento
Chiudiamo questo numero con tre note in materia fiscale. La prima affronta le novità fiscali in tema di fondi immobiliari. La seconda nota presenta i chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate in relazione al regime fiscale degli incentivi al management. La terza nota illustra alcune brevi riflessioni in materia di deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di leveraged buyout.
Come sempre ci auguriamo che la nostra Newsletter possa essere di vostro interesse ed offrire qualche spunto di riflessione. Restiamo naturalmente a disposizione per qualsiasi approfondimento sulle tematiche affrontate e vi ricordiamo che è gradito ogni suggerimento su altri argomenti da trattare nei prossimi numeri.
Franco Agopyan (Editore)
(franco.agopyan@chiomenti.net)
Editoriale: una breve panoramica sullo stato di salute del private equity
Di seguito una breve panoramica sul mercato del private equity nel 2010 ed alcune riflessioni correlate.
1. Considerazioni generali: è opinione condivisa tra gli operatori che, contrariamente ad alcune previsioni negative effettuate nel pieno della crisi, il private equity abbia dimostrato di saper affrontare e superare la recessione con successo, affermandosi definitivamente come asset class con rendimenti storicamente superiori a quelli offerti da altre tipologie di investimento (ad es. public equity o immobiliare). Dopo un biennio di segno estremamente negativo, il 2010 ha segnato infatti una netta ripresa degli investimenti. Molto è cambiato tuttavia nel settore, in particolare in termini di (i) minor leva finanziaria e maggior contributo dei fondi sotto forma di equity, (ii) focus sulla creazione di valore a livello operativo delle società partecipate, e (iii) holding period generalmente più lunghi rispetto al passato. Per il prossimo futuro, il fattore chiave per i fondi sarà proprio la capacità dimostrata dagli operatori di saper creare valore partendo dai fondamentali delle proprie partecipate.
2. Investimenti: il 2010 ha segnato una forte ripresa, facendo registrare a livello globale un aumento del 40% ca. in termini di numero di operazioni e del 130% in termini di volume rispetto al 2009. Considerata l'enorme massa di liquidità (cd. "dry powder") disponibile in capo ai fondi per l'effettuazione di nuovi investimenti (stimata per un importo pari a circa mille miliardi di dollari, di cui circa il 25% allocata all'Europa) e la pressione avvertita in molti casi dai gestori per l'investimento della stessa entro i prossimi due/tre anni), gli operatori sono ottimisti per una ripresa ancor più accentuata del mercato nei prossimi anni. Sembra già essere in atto un discreto livello di competizione tra i fondi per aggiudicarsi gli asset migliori con conseguente innalzamento dei prezzi di vendita.
3. Leva finanziaria: è opinione diffusa tra gli operatori che l'utilizzo della leva finanziaria si sia di molto ridimensionato rispetto al passato, registrandosi mediamente (i) un multiplo medio del debito senior rispetto all'EBITDA pari al 3,5-4,0x ed (ii) un maggior ricorso all'apporto di equity da parte degli sponsor (40-50%). Vi è peraltro una generale aspettativa che il mercato del debito continui a migliorare in termini di liquidità adeguata e tale da garantire agli operatori la possibilità di effettuare nuovi investimenti (anche di taglia maggiore) ed in termini di costi di transazione relativamente contenuti.
4. Exit: A livello mondiale le operazioni di exit realizzate nel 2010 sono state circa il doppio rispetto a quelle effettuate nel corso del 2009 ed il loro controvalore complessivo è stato ancora maggiore. Anche in questo caso, considerato l'elevatissimo valore degli investimenti non ancora realizzati dai fondi, il fatto che molti di tali investimenti siano stati fatti da fondi raccolti tra il 2004 ed il 2005 (e che, pertanto, salvo estensioni concordate con gli investitori andranno a scadenza tra brevissimo) e, non di minor importanza, la necessità da parte dei gestori di effettuare distribuzioni di capitale ai propri investitori, ci si attende una forte ripresa del mercato per gli anni a venire. Oltre ai tradizionali secondary buyout (sponsor-to-sponsor), gli operatori si attendono un grande ritorno sul mercato da parte degli acquirenti industriali, rimasti alla finestra durante la crisi e ora dotati di una notevole liquidità disponibile per poter effettuare nuove acquisizioni (quindi generalmente senza necessità di leva finanziaria esterna in misura rilevante) ed una maggior presenza di investitori cinesi ed indiani sul mercato europeo. Con la ripresa del mercato delle IPO, ci si aspetta inoltre un aumento delle operazioni fatte in "dual track".
5. Fund raising: pur essendosi registrata una timida ripresa rispetto al 2009, il 2010 ha continuato a risentire in modo significativo della crisi degli ultimi due anni, facendo registrare valori piuttosto bassi in termini di raccolta di nuovi capitali. Per quanto riguarda le aspettative per il futuro, benché l'attività di raccolta sia, allo stato, ancora piuttosto complessa, si registrano numerosi fondi attualmente in fase di raccolta, la metà dei quali sembra già aver completato il primo closing, a dimostrazione della presenza di un cospicuo livello di nuovi capital commitment sul mercato. Per i prossimi anni gli operatori si aspettano che la quasi totalità degli investitori mantenga o addirittura aumenti la propria allocazione di portafoglio dedicata al private equity, essendosi per lo più risolte le maggiori criticità riscontrate negli anni precedenti (effetto cd. "denominatore", problemi di liquidità, etc.). Anche in considerazione della dispersione dei rendimenti dei fondi (resa ancor più accentuata dalla crisi), gli operatori si aspettano una sempre maggiore selezione da parte degli investitori nella scelta dei gestori e negli investimenti, ed un maggior potere negoziale degli stessi in termini di fees e di regolamentazione dei nuovi fondi. Al momento, si registra una sempre maggior spaccatura tra i large buyout funds e i fondi di tipo growth e mid-market. In netta crescita i fondi dedicati ai paesi emergenti.
6. Restructuring: ci attendiamo che i rifinanziamenti e le ristrutturazioni del debito continueranno per tutto il 2011. Si registra ancora preoccupazione, in particolare, per i finanziamenti relativi ai mega-deals conclusi al momento di picco del mercato nel 2006-2007, i quali dovrebbero andare in scadenza a partire dal 2012 in poi e che, con ogni probabilità, dovranno essere rifinanziati. Ciò implica, ovviamente, l'erosione del valore dell'equity dei fondi, i quali si troveranno a competere con i finanziatori e terzi potenziali acquirenti per difendere i propri investimenti nelle partecipate.
Franco Agopyan
(franco.agopyan@chiomenti.net)
Trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 36 comma 1 bis del Decreto Legge n. 112/2008 e relativa autentica notarile
Il Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (il "d.l. n. 112/2008") ha introdotto un'importante novità in tema di trasferimento di partecipazioni in società a responsabilità limitata.
In particolare, l'art. 36, comma 1-bis del d.l. n. 112/2008, così recita: "L'atto di trasferimento di cui al secondo comma dell'articolo 2470 del codice civile può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l'ufficio del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell'articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340".
Prima di tale modificazione, il secondo comma dell'art. 2470 c.c. prevedeva quale unica modalità di trasferimento delle quote di società a responsabilità limitata la sottoscrizione di un atto autentico da depositarsi, a cura del notaio autenticante, presso il Registro delle Imprese nella cui circoscrizione era stabilita la sede della società.
La nuova norma stabilisce ora che l'atto con il quale viene trasferita la titolarità della partecipazione può essere sottoscritto dalle parti anche con firma digitale, nel rispetto della normativa che regola la sottoscrizione dei documenti informatici. In tal caso, la legge autorizza coloro che sono iscritti negli albi dei dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali (c.d. intermediari abilitati), che siano muniti del dispositivo di firma digitale, a depositare, entro trenta giorni, il documento informatico del contratto di cessione presso l'ufficio del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione la società ha la sede legale, analogamente a quanto previsto per il notaio dall'art. 2470 c.c..
Ai sensi delle due norme menzionate (art. 36, comma 1 bis d.l. n. 112/2008 e art. 2470 c.c.) l'atto di trasferimento delle quote sociali può essere pertanto redatto:
i) in forma cartacea con sottoscrizione autografa delle parti, o alternativamente,
ii) su supporto informatico con sottoscrizione digitale.
Nel primo caso troverà integrale applicazione l'art. 2470 c.c., con la conseguenza che l'atto potrà essere depositato presso l'ufficio del Registro delle Imprese solo dal notaio che ha autenticato le firme poste in calce allo stesso. Nel secondo, invece, potrà essere depositato a cura dell'intermediario abilitato.
Occorre al riguardo segnalare che la portata innovativa della nuova disposizione ha trovato successiva lettura interpretativo applicativa nei provvedimenti emessi dal Giudice del Registro delle Imprese di Vicenza (provvedimenti nn. 2498/2009 e 3817/2009 del Giudice del Registro di Vicenza, richiamati e condivisi da parere reso in data 31 luglio 2010 dal Giudice del Registro delle Imprese di Grosseto) che hanno ordinato la cancellazione dal Registro delle Imprese dell'iscrizione di un atto di cessione di quote di una società a responsabilità limitata sottoscritto in forma digitale secondo la procedura di cui all'art. 36, comma 1-bis del d.l. n. 112/2008, senza l'osservanza della forma notarile.
Con i suddetti provvedimenti, il Giudice del Registro delle Imprese di Vicenza ha infatti rilevato che il procedimento delineato dall'art. 36, comma 1 bis non è autonomo ed autosufficiente, non essendo in realtà venuto meno il principio di autenticità, quale presupposto generale dell'iscrivibilità degli atti nel Registro delle Imprese. Secondo detta pronuncia pertanto, per l'iscrizione e l'opponibilità dell'atto di trasferimento la sottoscrizione deve continuare ad essere in ogni caso autenticata da un notaio.
Questa presa di posizione muove dalla constatazione che l'art. 36 comma 1 bis del d.l. n. 112/2008, nel prevedere che l'atto di trasferimento possa essere sottoscritto dalle parti con firma digitale rinvia al Codice dell'Amministrazione digitale (D.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, "CAD") il quale prevede due tipi di firma digitale: quella semplice (art. 24 CAD) e quella autenticata (art. 25 CAD) e, secondo il ragionamento del Giudice del Registro delle Imprese di Vicenza, se l'art. 36 comma 1 bis d.l. n. 112/2008 avesse voluto far riferimento al primo tipo, senza dover ricorrere all'autenticazione notarile, avrebbe dovuto contenere la formula "in deroga all'art. 2470 c.c.".
In particolare, ad avviso dell'organo giudicante, alla luce dei contenuti dell'art. 2470 c.c., l'intervento del notaio è necessario per garantire la verifica dell'identità delle parti, l'indagine della volontà e capacità di agire delle stesse, la verifica della legittimazione e dei poteri di rappresentanza nonchè il controllo di legalità dell'atto soggetto ad iscrizione. Al contrario, ove si avesse riguardo alle sole disposizioni di cui all' art. 36, comma 1 bis d.l. n. 112/2008, l'intermediario abilitato non avrebbe alcun obbligo di effettuare questi controlli che, pertanto, rimarrebbero inevasi qualora si ammettesse l'iscrizione nel Registro delle Imprese di un atto privo dell'autentica notarile; conseguentemente, la realizzazione di un trasferimento di quote con il solo intervento dell'intermediario offrirebbe minori garanzie di veridicità e contrasterebbe col principio di autenticità degli atti soggetti ad iscrizione.
Per il Tribunale, quindi, l'art. 36 comma 1 bis d.l. n. 112/2008 essendo norma specifica che introduce esclusivamente la facoltà di procedere ai trasferimenti di quote di s.r.l. mediante sottoscrizione del relativo atto con firma digitale, non sottrae il trasferimento delle medesime, pur attuato con la procedura semplificata, all'autentica notarile della firma digitale ai sensi dell'art. 25 CAD, ma introduce un articolato sistema per il quale le parti, dopo aver redatto l'atto (su supporto cartaceo oppure informatico) con o senza assistenza di professionisti all'uopo incaricati, dovranno in ogni caso rivolgersi al notaio per l'autenticazione della firma, sia essa stata prevista su carta o su formato digitale, e poi, ottenuta una copia autentica in formato digitale dal notaio autenticante, su supporto informatico, potranno far trasmettere l'atto in formato digitale al Registro delle Imprese dal c.d. intermediario abilitato.
Sul punto si rileva come il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili abbia emesso un'apposita circolare, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle del Tribunale e ritenendo che, tanto sulla base di un'interpretazione letterale che sistematica della disciplina, il procedimento menzionato nell'art. 36, comma 1-bis è perfettamente alternativo a quello indicato nell'art. 2470 c.c. e non richiede pertanto l'autentica notarile della sottoscrizione digitale.
Alla luce delle diverse posizioni espresse in sede giurisdizionale, da un lato, e da parte di alcuni interpreti ed associazioni di categoria dall'altro lato, tra gli operatori si è auspicato un nuovo intervento legislativo che possa chiarire definitivamente se l'art. 36, comma 1 bis dia vita a un nuovo procedimento alternativo e autonomo rispetto a quello delineato dall'art. 2470 c.c., esclusivamente informatico e caratterizzato da firma digitale non autenticata da notaio.
Nelle more di tali auspicati chiarimenti, l'intervento del Notaio resta imprescindibile al fine di evitare successive possibili mancate iscrizioni o cancellazioni dell'atto di trasferimento dal Registro delle Imprese con conseguente inefficacia dei trasferimenti interessati.
Filippo Modulo
(filippo.modulo@chiomenti.net)
Luca De Matteis
(luca.dematteis@chiomenti.net)
La quotazione delle SPAC e l’istituto del trust
Le SPAC (Special Purposes Acquisition Companies) sono società la cui quotazione ha, quale fine esclusivo, l'acquisizione di, ovvero la fusione con, società operative (business combination), mediante l'utilizzo dei fondi versati dagli investitori per la sottoscrizione degli strumenti finanziari emessi dalla SPAC in sede di quotazione.
Il processo di quotazione
La quotazione di una SPAC ha solitamente ad oggetto strumenti finanziari unitari (costituiti da azioni e warrants), collocati sul mercato per divenire oggetto di acquisto e (meno frequentemente) di scambio da parte degli investitori. Le somme raccolte dagli investitori in sede di sottoscrizione di tali strumenti finanziari sono versate in un conto corrente bancario vincolato (escrow account) oppure (come si registra nella prassi delle SPAC con azioni quotate in mercati regolamentati statunitensi) in un conto corrente intestato ad un trustee appositamente nominato dalla SPAC mediante un apposito atto istitutivo (investment and management trust agreement). Ove previsto nella documentazione contrattuale di supporto, le somme così depositate sono successivamente investite in strumenti finanziari di pronta liquidazione e a basso rischio, che diano quindi la garanzia di restituzione quanto meno del capitale.
Una volta quotata, la SPAC ha solitamente un periodo di tempo (che varia dai 12 ai 18 mesi) per individuare una società operativa oggetto di acquisizione (società target) e siglare con la stessa o i suoi azionisti una lettera di intenti che fissi i termini essenziali della business combination, e circa 24 mesi per effettuare l'operazione che sarà finanziata mediante la cassa costituita dal denaro versato dagli investitori sul conto corrente dedicato.
Una volta individuata la società operativa oggetto di acquisizione (società target), agli azionisti viene proposta l'approvazione dell'operazione fornendo agli stessi la necessaria documentazione pre-assembleare (proxy statement) volta ad illustrare i principali termini e condizioni dell'operazione e, quindi, a consentire un consapevole esercizio del diritto di voto. La realizzazione dell'operazione è condizionata all'approvazione da parte di un quorum determinato di azionisti previsto dallo statuto della SPAC.
Gli azionisti potranno votare a favore dell'operazione (beneficiando in tal caso degli eventuali proventi dell'operazione) ovvero, in alternativa, votare contro la stessa esercitando il diritto di recesso e conseguendo la restituzione delle somme inizialmente versate sul conto corrente dedicato (maggiorate degli interessi maturati e degli eventuali proventi derivanti dall'investimento della cassa). Gli investitori sono comunque liberi di vendere sul mercato gli strumenti finanziari sottoscritti prima dell'approvazione assembleare della business combination.
Solitamente gli amministratori della SPAC acquistano gli strumenti finanziari emessi da quest'ultima prima della quotazione, investendo un ammontare (che oscilla tra il 2% e il 5% dei proventi derivanti dal collocamento degli strumenti finanziari emessi complessivamente dalla SPAC) anch'esso versato sul conto corrente dedicato, divenendone parte integrante e seguendone gli impieghi.
La funzione del trust
Da una ricognizione sulle quotazioni di SPAC realizzate nel mercato statunitense ed europeo emerge che l'istituto del trust occupa un ruolo centrale nell'ambito della quotazione e, pertanto, viene molto spesso preferito dagli operatori al semplice deposito vincolato. Questo per un duplice ordine di motivi. Da un lato, il versamento delle somme su un conto corrente intestato al trust consente alla SPAC di poter impiegare in futuro con notevole flessibilità tali somme ai fini della business combination, sempre che gli investitori votino a favore dell'operazione. Dall'altro lato, un conto corrente intestato al trust consente di segregare la somma di denaro sullo stesso depositata dal restante patrimonio della SPAC fino al momento della realizzazione della business combination.
L'atto istitutivo del trust viene normalmente stipulato tra la SPAC e il trustee contestualmente alla quotazione degli strumenti finanziari emessi dalla SPAC. Nelle premesse dell'atto istitutivo è espressamente individuata la funzione del conto corrente del trust (quale conto sul quale sarà depositato e successivamente investito il denaro versato dai sottoscrittori degli strumenti finanziari) e i servizi che a tal fine saranno dallo stesso prestati. L'atto istitutivo del trust disciplina fondamentalmente tre aspetti: (i) il trasferimento al trustee del denaro percepito dalla SPAC in occasione della quotazione degli strumenti finanziari; (ii) l'investimento di tale denaro da parte del trustee su istruzioni della SPAC; il trustee dovrà investire e reinvestire le somme giacenti sul conto corrente del trust esclusivamente in strumenti finanziari aventi una determinata tipologia individuata dalle parti (tutti i proventi derivanti da tali investimenti saranno versati sul conto corrente del trust e inclusi tra i beni in trust); (iii) il trasferimento (release) da parte del trustee a favore degli investitori o della SPAC delle somme depositate (eventualmente incrementate a seguito del loro investimento).
La distribuzione finale dei beni in trust presenta gli aspetti più delicati dell'istituto. La liquidazione del conto corrente del trust potrà aver luogo soltanto al recepimento, da parte del trustee, di una comunicazione in tal senso inviatagli dalla SPAC (termination letter), mediante la quale la SPAC potrà alternativamente comunicare al trustee: (i) l'imminente realizzazione della business combination entro il termine prefissato, riservandosi di indicare con separata lettera (a) i nominativi degli investitori che hanno approvato l'operazione e il cui investimento potrà essere utilizzato per la realizzazione dell'operazione e (b) i nominativi degli investitori che, non avendo approvato l'operazione, avranno diritto alla restituzione delle somme inizialmente versate sul conto corrente del trust; ovvero (ii) l'impossibilità di realizzare la business combination entro il termine prefissato, riservandosi con separata lettera di indicare al trustee le modalità operative per procedere alla liquidazione del conto corrente del trust in favore degli investitori.
Il trust cesserà nel momento in cui il trustee avrà completato la liquidazione del conto corrente del trust secondo le previsioni dell'atto istitutivo e della termination letter. In mancanza dell'invio di una termination letter entro una data successiva alla data prefissata per la realizzazione dell'operazione, il trustee potrà porre termine al trust depositando i beni in trust presso il tribunale competente.
La responsabilità del trustee
Solitamente, ai sensi dell'atto istitutivo del trust, il trustee declina ogni responsabilità in relazione ai danni causati dalle attività svolte (od omesse) dallo stesso nello svolgimento dei compiti allo stesso assegnati, fatta salva l'ipotesi di dolo o colpa grave accertata da una sentenza passata in giudicato. A tutela della propria posizione il trustee potrà richiedere alla SPAC per iscritto le istruzioni che ritiene opportuno ricevere per lo svolgimento delle proprie attività, indicando eventualmente le particolari iniziative che intende adottare e il termine entro il quale attende indicazioni da parte del disponente. In mancanza di indicazioni da parte della SPAC entro il termine indicato, il trustee potrà agire (conformemente alle previsioni dell'atto istitutivo) senza il consenso della SPAC, non incorrendo in alcuna responsabilità.
In realtà, come suggerisce la prassi seguita dagli operatori, non viene accordata alcuna discrezionalità al trustee in relazione ai compiti che lo stesso è chiamato a svolgere ai sensi dall'atto istitutivo. L'attività del trustee risulta sempre piuttosto vincolata, con pochissimi spazi per un esercizio discrezionale dei poteri attribuitigli, soprattutto in relazione alle modalità di investimento del denaro custodito in trust. Nella sostanza la prassi registra sul punto una soluzione di compromesso tale per cui il trustee può beneficiare dell'esonero completo da responsabilità a condizione che lo stesso si limiti ad eseguire la propria attività conformandosi alle istruzioni ricevute dalla SPAC.
Merita infine qualche breve considerazione il meccanismo solitamente previsto negli atti istitutivi del trust con riferimento alle dimissioni e alla revoca del trustee. L'atto istitutivo quasi sempre riconosce al trustee il diritto di recedere in qualsiasi momento (resignation) mediante comunicazione scritta da inviare al disponente. A tutela degli interessi degli investitori (quali beneficiari ultimi delle prestazioni rese dal trsutee), il trustee è revocabile dal disponente (i.e. la SPAC) soltanto in caso di inadempimento delle obbligazioni del trustee previste nell'atto istitutivo.
Franco Agopyan
(franco.agopyan@chiomenti.net)
Michele Cera
(michele.cera@chiomenti.net)
Recenti orientamenti giurisprudenziali sulla natura del fondo comune di investimento
Con la sentenza del 15 luglio 2010 n. 16605 la Corte di Cassazione è intervenuta per la prima volta sul tema dell'identificazione della natura giuridica del fondo comune di investimento ( "Fondo").
La Suprema Corte ha ritenuto, richiamando la stessa definizione contenuta all'art. 1, primo comma, lettera (j) del D.Lgs. 58/98 ("TUF"), che il Fondo costituisca un patrimonio separato istituito dalla società di gestione del risparmio ("SGR"), e non invece un autonomo soggetto di diritto (come aveva invece ritenuto il Consiglio di Stato nel parere 608 del 11 maggio 1999, nel quale si avanzava la tesi della soggettività del Fondo come soggetto giuridico contrapposto e distinto rispetto ai partecipanti al Fondo stesso e alla SGR).
La Suprema Corte ha infatti osservato come non siano presenti nell'ordinamento positivo elementi normativi significativi nel senso della tesi della soggettività propria del Fondo e ha anzi sottolineato che il Fondo non ha una vera e propria capacità di determinarsi autonomamente in quanto difetta (a differenza di quanto avviene, ad esempio, per le associazioni non riconosciute o le società di persone o i fondi speciali per la previdenza e l'assistenza costituiti ai sensi dell'articolo 2117 c.c. che, pur non avendo personalità giuridica, sono centri di imputazione dei rapporti giuridici, anche dal punto di vista processuale) di qualsiasi struttura organizzativa di rilevanza anche esterna.
Né la Corte ritiene che possa considerarsi sufficiente indizio di questa autonoma capacità di determinarsi l'assemblea dei partecipanti al Fondo (alla quale pure l'articolo 37, comma 2 bis, TUF riconosce un potere di vincolare la SGR in alcune materie, indicate dalla legge stessa o ulteriormente previste nel regolamento di gestione, soggette alla delibera dei partecipanti al Fondo): ritenendola simile nel ruolo e nelle funzioni all'assemblea degli obbligazionisti, di cui all'art. 2417 c.c. o all'assemblea speciale dei portatori di strumenti di partecipazione a specifici affari, di cui all'art. 2447 octies cod.civ., e quindi unicamente idonea a permettere ai quotisti di far valere il proprio punto di vista sulle scelte compiute dagli organi sociali della SGR su alcune materie che li riguardano, esplicando un potere di veto rispetto alle proposte avanzate dalla SGR ma senza arrivare ad imporre alla SGR medesima l'unilaterale volontà dell'assemblea dei partecipanti al Fondo.
Al contrario, argomenta la Cassazione richiamando la normativa primaria, dettata agli articoli 1, primo comma, lettere da (n) a (q), 36 e 39 TUF e la relativa normativa secondaria di applicazione, il Fondo per determinarsi ha necessità della SGR che lo istituisce, lo gestisce, stila il regolamento che ne disciplina il funzionamento, ha il potere di disporne la fusione o scissione con conseguenti eventuali modifiche del regolamento stesso e, soprattutto, risponde dell'attività di gestione patrimoniale svolta nei confronti dei partecipanti.
Effetto di questa ricostruzione è che non si configura tra Fondo e SGR alcun rapporto di mandato o di mandato con rappresentanza (che presupporrebbero entrambi l'esistenza di due distinti soggetti) e che, conseguentemente, nel caso di beni acquistati dalla SGR nell'interesse del Fondo (o oggetto di altra attività negoziale svolta dalla SGR nell'interesse del Fondo), questi stessi bene vanno intestati non al Fondo ma alla SGR che lo ha istituito (anche nel caso in cui non coincida con la SGR che lo gestisce) che ne assume la formale titolarità e quindi anche (nel caso di giudizi che riguardino tali beni) la legittimazione processuale. Rimane fermo peraltro l'obbligo della SGR di imputazione degli effetti dell'acquisto del bene in capo al Fondo (i partecipanti al quale essendone i titolari "sostanziali") e quindi l'obbligo di accompagnare l'intestazione con un'annotazione idonea a rendere nota anche a terzi l'esistenza del vincolo pertinenziale.
Carmelo Raimondo
(carmelo.raimondo@chiomenti.net)
Alessandra Alfei
(alessandra.alfei@chiomenti.net)
Le novità fiscali in tema di fondi immobiliari
Lo scorso 13 maggio è stato approvato il d.l. n. 70/2011 (il "Decreto"), il quale ha modificato radicalmente il regime fiscale dei fondi immobiliari.
1. La definizione di fondo comune di investimento
Il Decreto Legge approvato il 13 maggio 2011 non modifica la nozione di "fondo comune di investimento", che rimane la seguente: "patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissioni di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell'interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi".
È stata tuttavia eliminata la disposizione del D.l. n. 78/2010 che demandava al Ministro dell'Economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 37 del D.lgs. n. 58/1998, l'obbligo di emanare, con proprio regolamento, le disposizioni di attuazione delle cennate disposizioni normative.
2. La modifica al regime fiscale dei fondi immobiliari e gli investitori tassati "per trasparenza"
Il Decreto in commento non modifica integralmente il regime fiscale applicabile ai fondi comuni di investimento immobiliare, ma introduce un regime particolare di tassazione dei proventi dagli stessi distribuiti in relazione ad alcune limitate categorie di investitori.
In particolare il regime fiscale ordinariamente previsto dalle disposizioni recate dal D.l. n. 351/2001 per i fondi immobiliari trova in ogni caso applicazione per i fondi partecipati esclusivamente da uno o più dei seguenti partecipanti:
(a) Stato o ente pubblico;
(b) organismi d'investimento collettivo del risparmio;
(c) forme di previdenza complementare nonché enti di previdenza obbligatoria;
(d) imprese di assicurazione, limitatamente agli investimenti destinati alla copertura delle riserve tecniche;
(e) intermediari bancari e finanziari assoggettati a forme di vigilanza prudenziale;
(f) soggetti e patrimoni indicati nelle precedenti lettere costituiti all'estero in paesi o territori inclusi nella c.d. "white list" di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanarsi ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del D.p.r. n. 917/1986;
(g) enti privati residenti in Italia che perseguano esclusivamente le finalità previste dalla legge sulle fondazioni bancarie, nonché società residenti in Italia che perseguano esclusivamente finalità mutualistiche;
(h) veicoli costituiti in forma societaria o contrattuale partecipati in misura superiore al 50% dai soggetti indicati nelle precedenti lettere.
Inoltre, il Decreto prevede che qualora in un fondo vi siano uno o più partecipanti, diversi da quelli summenzionati nei punti da a) ad h), che detengano, su base individuale, una percentuale di quote superiore al 5%, i redditi conseguiti dal fondo sono imputati per trasparenza a tali partecipanti indipendentemente dall'effettiva percezione.
Tale percentuale di partecipazione è rilevata al termine del periodo d'imposta o, se inferiore, al termine del periodo di gestione del fondo. Ai fini della verifica della percentuale di partecipazione nel fondo si tiene conto delle partecipazioni detenute direttamente o indirettamente per il tramite di società controllate (ex articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile), di società fiduciarie o per interposta persona.
Si tiene altresì conto delle partecipazioni imputate ai familiari indicati nell'articolo 5, comma 5, del D.p.r. n. 917/1986. Il partecipante è tenuto ad attestare alla società di gestione del risparmio la percentuale di possesso di quote di partecipazioni detenute ai sensi del presente comma.
I proventi imputati per trasparenza concorrono integralmente alla formazione del reddito fiscalmente imponibile in Italia dell'investitore indipendentemente dall'effettiva percezione.
In caso di cessione di quote i cui proventi sono tassati per trasparenza, ai fini della determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria, il costo fiscale è aumentato o diminuito, rispettivamente, dei redditi e delle perdite imputati per trasparenza ed è altresì diminuito, fino a concorrenza degli risultati di gestione imputati, dei proventi effettivamente distribuiti ai partecipanti.
Tale plusvalenza, qualora sia realizzata al di fuori di un'attività di impresa, non è soggetta al regime ordinariamente applicabile che prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 12,5%, ma concorre alla formazione del reddito imponibile dell'investitore per il 49,72% del suo ammontare.
3. Il regime fiscale transitorio e l'applicazione di un'imposta sostitutiva
Gli investitori suscettibili di essere tassati "per trasparenza" sui proventi distribuiti dal fondo che, alla data del 31 dicembre 2010, detenevano una quota di partecipazione al fondo medesimo superiore al 5%, sono tenuti a corrispondere un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi del 5% del valore medio delle quote possedute nel periodo d'imposta risultante dai prospetti periodici redatti nel periodo d'imposta 2010.
La disciplina attuativa da emanarsi con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate dovrebbe chiarire le modalità di calcolo del valore medio delle quote, anche con riferimento all'eventuale variazione del numero di quote detenute dall'investitore nel corso del 2010. L'imposta è versata dal partecipante con le modalità e nei termini previsti per il versamento a saldo delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta 2011. Inoltre, tale imposta sostitutiva può essere versata, a cura della società di gestione del risparmio o dell'intermediario depositario delle quote se ne hanno anticipatamente ottenuto la necessaria provvista, in due rate di pari importo, rispettivamente, entro il 16 dicembre 2011 ed entro il 16 giugno 2012. In mancanza della necessaria provvista, la società di gestione del risparmio può effettuare la liquidazione parziale della quota per l'ammontare necessario al versamento dell'imposta.
4. La liquidazione del fondo
Nel caso in cui un fondo immobiliare, alla data del 31 dicembre 2010, presenti un assetto partecipativo nel quale almeno un partecipante sia suscettibile di essere tassato "per trasparenza", la società di gestione del risparmio, previa deliberazione dell'assemblea dei partecipanti, può deliberare entro il 31 dicembre 2011 la liquidazione del fondo. In tal caso la società di gestione del risparmio preleva, a titolo di imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, un ammontare pari al 7% del valore netto del fondo risultante dal prospetto redatto al 31 dicembre 2010, da versare nella misura del 40% entro il 31 marzo 2012, il 30% entro il 31 marzo 2013 e la restante parte entro il 31 marzo 2014. La liquidazione deve essere conclusa nel termine massimo di cinque anni e sui risultati conseguiti dal 1° gennaio 2011 e fino alla conclusione della liquidazione la società di gestione del risparmio applica un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'IRAP nella misura del 7% da versare il 16 febbraio dell'anno successivo rispetto a ciascun anno di durata della liquidazione.
4.1. La tassazione dei proventi distribuiti dal fondo durante la procedura di liquidazione
Durante la procedura di liquidazione i proventi eventualmente distribuiti dal fondo non sono imponibili fino a concorrenza dell'ammontare assoggettato all'imposta sostitutiva del 7%.
Inoltre, ai fini della determinazione delle plusvalenze derivanti, in sede di liquidazione, dalla differenza tra il valore di liquidazione della quota del fondo ed il relativo costo di sottoscrizione o acquisto (quest'ultimo documentato, anche mediante dichiarazione sostitutiva, dal partecipante), la norma prevede che il costo di sottoscrizione o acquisto delle quote è riconosciuto fino a concorrenza dei valori che hanno concorso alla formazione della base imponibile per l'applicazione dell'imposta sostitutiva. Eventuali minusvalenze realizzate sono fiscalmente irrilevanti.
4.2. Il regime di fiscalità indiretta applicabile alla procedura di liquidazione
Relativamente agli atti di liquidazione del fondo, la disciplina in esame prevede che gli stessi siano soggetti ad imposta di registro e ad imposte ipotecarie e catastali in misura fissa (i.e., € 168,00 per ciascuna imposta). In caso di cessioni di immobili soggette ad Iva, subordinatamente alla preventiva approvazione da parte del Consiglio dell'Unione europea, l'imposta sarà applicata con il meccanismo del reverse charge, vale a dire il meccanismo applicativo dell'imposta in base al quale il cessionario si rende contemporaneamente soggetto debitore e creditore dell'IVA relativa alla cessione, registrando la fattura ricevuta dal fondo (rectius, dalla società di gestione per conto del fondo) sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti.
Inoltre, in sede di liquidazione, i conferimenti in società di una pluralità di immobili saranno soggetti al medesimo regime previsto per i conferimenti di azienda, con la conseguenza che gli stessi saranno fuori dal campo di applicazione dell'IVA e soggetti ad imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa (i.e., € 168,00). La successiva dismissione da parte del fondo immobiliare delle quote del veicolo societario ricevute in esito al menzionato conferimento non rileva ai fini della determinazione del pro-rata di detraibilità IVA del fondo.
5. Il regime fiscale applicabile ai quotisti esteri
Il Decreto Legge non ha modificato le disposizioni precedentemente introdotte dal'art. 32, comma 7 del D.l. 78/2010 in merito al regime di imponibilità previsto per i proventi (riferiti a periodi di attività successivi al 31 dicembre 2009) distribuiti dal fondo e percepiti da quotisti esteri ai quali non si applichi il meccanismo di imposizione "per trasparenza".
Ne consegue che, in caso di investitori non residenti in Italia (privi di una stabile organizzazione in Italia a cui la partecipazione al fondo sia effettivamente ricollegabile), sui proventi derivanti dalla partecipazione al fondo immobiliare, vale a dire (a) i proventi, classificati come redditi di capitale ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera g) del D.p.r. n. 917/1986, distribuiti in costanza di partecipazione, e (b) la differenza tra il valore di riscatto o liquidazione delle quote ed il costo di sottoscrizione o acquisto (documentato dal partecipante o in mancanza da dichiarazione sostitutiva), si renderà dovuta la ritenuta del 20% a titolo d'imposta. Come chiarito dall'Amministrazione finanziaria con la circolare n. 11/E del 9 marzo 2011 tale ritenuta potrebbe essere ridotta sulla base delle disposizioni ritraibili dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, in base alla norma convenzionale relativa agli interessi. Al riguardo è espressamente previsto che il sostituto di imposta acquisisca (a) una dichiarazione del soggetto estero effettivo beneficiario dei proventi, dalla quale risultino i suoi dati identificativi, la sussistenza delle condizioni per l'applicazione della ritenuta convenzionale e, eventualmente, gli elementi necessari ai fini della determinazione dell'aliquota da applicare ai sensi della convenzione e (b) un'attestazione dell'autorità fiscale competente dello Stato di residenza, dalla quale risulti la residenza nello Stato medesimo ai sensi della convenzione.
Resta fermo il regime di non imponibilità ordinariamente previsto per i proventi percepiti da fondi pensione e organismi di investimento collettivo del risparmio esteri, sempreché istituiti in Stati o territori inclusi nella white list di cui all'articolo 168-bis, comma 1 del D.P.R. 917/1986 (c.d. white list), enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia e banche centrali o organismi che gestiscono anche riserve ufficiali di uno Stato.
Resta altresì immutato anche il regime attualmente previsto per le plusvalenze (e le minusvalenze), e pertanto in caso di investitori residenti o costituiti in Paesi white list e privi di una stabile organizzazione in Italia a cui la partecipazione al fondo sia effettivamente ricollegabile, le stesse continueranno a non concorrere a formare il reddito, ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del D.lgs. 461/1997, fatte salve le disposizioni convenzionali.
Massimo Antonini
(massimo.antonini@chiomenti.net)
Giuseppe Andrea Giannantonio
(giuseppeandrea.giannantonio@chiomenti.net)
L’Agenzia delle entrate chiarisce il regime fiscale degli incentivi ai manager
Premessa
Le forme e le stesse modalità di remunerazione variabile dei manager sono sempre più oggetto, sia a livello internazionale sia comunitario, di una stringente regolamentazione.
In ambito nazionale, sono stati conseguentemente attuati diversi provvedimenti, emanati principalmente da Banca d'Italia , volti a costituire un corpo unitario ed organico di norme con la finalità di disciplinare le politiche e prassi di incentivazione del personale "più rilevante" (i c.d. "risk takers") nel settore bancario e finanziario. In tale contesto, in linea con le suddette disposizioni di vigilanza e con le decisioni assunte anche in sede di G20 , si segnalano, qui di seguito, le principali novità introdotte dall'art. 33, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 (il "Provvedimento"), alla luce delle recenti ed estensive interpretazioni fornite dalla Circolare n. 4/E emessa dall'Agenzia delle Entrate in data 15 febbraio 2011 e con la Risoluzione ministeriale dell'11 marzo 2011 n. 31/E.
Il provvedimento in sintesi
Il Provvedimento ha introdotto un'aliquota addizionale del 10% sugli importi corrisposti, a titolo di bonus e stock options, ai dirigenti e collaboratori che operano nel settore finanziario, che eccedono il triplo della parte fissa della loro retribuzione. Il suddetto maggior prelievo fiscale dovrà essere applicato - ove ne ricorressero i presupposti - a tutti i compensi variabili corrisposti a partire dal 31 maggio 2010, anche se riferibili ad emolumenti e/o assegnazioni maturati in anni precedenti.
L'ambito di applicazione
Il Provvedimento trova applicazione limitatamente al "settore finanziario" ossia, alla luce delle recenti precisazioni fornite dall'Agenzia delle Entrate: (i) le banche; (ii) le società di gestione (SGR); (iii) le società di intermediazione mobiliare (SIM); (iv) gli intermediari finanziari; (v) gli istituti che svolgono attività di emissione di moneta elettronica; (vi) le società esercenti le attività finanziarie indicate nell'art. 59, comma 1, lett. b), del Testo Unico bancario; nonché (vii) le holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali.
Con molta probabilità, il discutibile inserimento - da parte dell'Agenzia delle entrate - delle holding industriali tra i soggetti che operano nel "settore finanziario" avrà un significativo impatto su diverse realtà imprenditoriali, che dovranno, conseguentemente, rivalutare ed adeguare la struttura dei loro attuali sistemi di remunerazione ed incentivazione.
I dipendenti e collaboratori soggetti al prelievo addizionale
L'aliquota addizionale trova applicazione nei confronti dei seguenti soggetti:
(i) i lavoratori subordinati inquadrati, ex art. 2095 c.c., nella categoria dirigenziale;
(ii) i soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ossia, ai sensi del D.lgs. 276/2003, e per ciò che qui rileva, i componenti di organi di amministrazione e controllo, i sindaci e revisori, i membri di collegi e commissioni. A tale riguardo si segnala - nell'individuazione della retribuzione variabile imponile su cui applicare il maggior prelievo fiscale - la ricorrente problematica correlata alla possibile coesistenza del rapporto di lavoro dirigenziale e di quello organico in capo ad uno stesso soggetto. Si profila, pertanto, il rischio che il soggetto passivo venga sottoposto al prelievo fiscale aggiuntivo anche se, ad esempio, riceve il bonus da una società diversa da quella che costituisce il suo datore di lavoro. Sono, infine, soggetti al prelievo addizionale anche i dirigenti del settore bancario e finanziario che prestano la loro attività lavorativa all'estero, per i quali, ai fini dell'applicazione dell'aliquota addizionale del 10%, occorrerà tener conto della loro retribuzione effettiva prevista dal contratto di lavoro, a prescindere dai criteri convenzionali di determinazione del reddito di lavoro dipendente di cui all'art. 51, comma 8-bis, del T.U.I.R.
Il rapporto tra la componente fissa e la componente variabile della retribuzione
Il Provvedimento subordina l''applicabilità dell'aliquota addizionale del 10% al ricorrere di due condizioni: i) la retribuzione riconosciuta al dirigente o al collaboratore deve comporsi di una componente fissa e di una componente variabile; ii) la componente variabile, indipendentemente dalla natura dell'erogazione, deve superare di almeno tre volte la retribuzione fissa. Al ricorrere di queste due condizioni, sulla parte di retribuzione variabile che eccede il triplo di quella fissa si applica l'aliquota addizionale del 10%.
Rientrano nella componente "variabile", oggetto del possibile tributo aggiuntivo, tutte le forme di incentivazione erogate anziché in denaro sotto forma di strumenti finanziari. Dunque, non solo gli emolumenti premiali riconosciuti tramite l'assegnazione di stock options ma anche i piani di incentivazione aventi ad oggetto l'assegnazione di stock grant, phantom stock, bonus shares, ecc, le quali rileveranno sempre in ragione del loro valore normale, individuato, ai sensi dell'art. 9 del TUIR, alla data di assegnazione, al netto delle somme eventualmente corrisposte per l'acquisto.
Particolarmente rilevante è la prescrizione per cui i compensi variabili da assoggettare all'aliquota addizionale del 10% devono essere individuati unicamente sulla base delle pattuizioni contrattuali, senza tener conto della rilevanza fiscale delle varie relative componenti retributive, né del criterio temporale di individuazione del momento impositivo. Occorre, quindi, considerare le componenti fisse della retribuzione previste, a seconda dei casi, dal contratto di lavoro, di collaborazione e/o nella delibera della società (al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali) e raffrontarle con la retribuzione variabile maturata per il medesimo anno. L'importo da assoggettare al prelievo aggiuntivo dovrà, in definitiva, essere individuato nell'ipotesi in cui - sommando i premi in denaro ed i benefici azionari che maturano nel periodo di imposta - risulti superato il triplo della retribuzione fissa riconosciuta al dirigente o al collaboratore per il medesimo periodo. La scelta di rateizzare e/o dilazionare l'erogazione del bonus diventa, dunque, del tutto irrilevante ai fini impositivi.
Le modalità di applicazione dell'addizionale
L'aliquota addizionale: a) non concorre all'importo sul quale possono essere fatte valere le eventuali detrazioni d'imposta; b) non rileva nella determinazione dell'aliquota media da applicare ai fini della tassazione separata; c) non deve essere considerato nell'imposta italiana che costituisce il limite entro cui può essere attribuito il credito d'imposta per l'imposta pagata all'estero.
L'aliquota addizionale del 10% deve essere applicata, in ossequio al principio di cassa che regola il momento impositivo del reddito di lavoro dipendente e assimilato, al momento dell'erogazione della parte di premio o di assegnazione dei titoli/valori azionari che eccedano, nel periodo di imposta, il triplo della retribuzione fissa del dirigente/collaboratore. Qualora quindi il bonus venga rateizzato in più periodi di imposta, l'addizionale troverà applicazione nel momento in cui, tenuto conto delle precedenti corresponsioni, si verifichi il superamento della soglia di tolleranza (ossia il valore triplo della retribuzione fissa). E' bene precisare come, in tale eventualità, la parte fissa della retribuzione di riferimento sarà sempre quella convenuta contrattualmente dalle parti nell'anno di maturazione del premio medesimo. L'addizionale in esame è trattenuta dal sostituto d'imposta e viene versata utilizzando i cinque codici tributo appositamente istituiti dall'Agenzia delle Entrate con la risoluzione 4 gennaio 2011, n. 1/E.
Qualora il datore di lavoro sia un soggetto estero che non costituisce sostituto d'imposta secondo la normativa italiana, spetta al lavoratore dipendente/collaboratore determinare e versare la maggiore imposta, seguendo gli stessi criteri previsti per il sostituto ed utilizzando lo specifico codice tributo istituito con la risoluzione 9 marzo 2011, n. 29/E.
Va, infine, ricordato che l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 11 marzo 2011 n. 31/E abbia previsto l'esenzione da sanzioni per i sostituti d'imposta che non abbiano trattenuto l'addizionale in esame al momento dell'erogazione degli emolumenti, purché abbiano provveduto al relativo versamento entro e non oltre il 16 marzo 2011.
Un sistema di incentivazione conforme ai principi internazionali e comunitari
Le recenti disposizioni assunte a livello internazionale e comunitario , recepite anche nel nostro ordinamento interno, impongono alle banche e agli altri enti finanziari, ovvero, in ogni caso, suggeriscono ad ogni altra realtà imprenditoriale, l'adozione di strutture e piani di incentivazione variabile che rispettino alcuni essenziali criteri di trasparenza, equilibrio e sostenibilità finanziaria, quali a titolo esemplificativo:
- la correlazione a strategie aziendali ed obiettivi di lungo periodo;
- il collegamento ad indicatori oggettivi di performance facilmente individuabili e misurabili;
- l'assegnazione di benefici variabili coerenti e proporzionati con i rischi ed i risultati della società e del Gruppo nel suo complesso o di quelli delle singole business unit e, ove possibile, con quelli individuali;
- un adeguato bilanciamento della proporzione del pay out prescelto (denaro vs. strumenti finanziari o strumenti equivalenti);
- la previsione di apposite clausole di retention, di good e bad leaver e di corresponsione differita, condizionando, ove possibile, la corresponsione del premio o l'esercizio dello strumento finanziario alla permanenza del rapporto di lavoro;
- la previsione di meccanismi di correzione del quantum dell'emolumento/beneficio assegnato (clausole c.d. di malus, di claw back o specifiche condizioni risolutive/sospensive) idonei, tra l'altro, a riflettere e rappresentare sia veritieri livelli di performance, al netto dei rischi effettivamente assunti, sia i risultati concretamente conseguiti nel periodo di valutazione.
Senza dimenticare, con particolare riferimento al Provvedimento in esame, la necessità di prevedere un'adeguata struttura e composizione della componente variabile della retribuzione che consenta, anche da un punto di vista fiscale, di mantenere la propria finalità incentivante, ovvero regolamenti, in maniera efficiente, i possibili casi di cumulo degli incarichi e/o rapporti in capo ad un medesimo soggetto e le relative diverse forme di remunerazione riconosciute.
Massimo Antonini
(massimo.antonini@chiomenti.net)
Annalisa Reale
(annalisa.reale@chiomenti.net)
La deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di Leveraged buyout: novità giurisprudenziali
1. Premessa
Nel corso degli ultimi anni l'attività di accertamento dell'Agenzia delle Entrate ha interessato anche le operazioni di "merger leveraged buyout", al fine di disconoscere la deduzione degli interessi passivi che maturano in dipendenza del finanziamento ricevuto dalla società "veicolo" a seguito dell'acquisto delle partecipazioni nella società " target".
Alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e della giurisprudenza di merito, si svolgono nel prosieguo alcune brevi riflessioni in materia di deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di leveraged buyout ("LBO").
2. La Sentenza della Corte di Cassazione n. 1372 del 2011
Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha esaminato i profili elusivi di un'operazione di LBO, consistente in estrema sintesi:
i) nell'acquisto, mediante indebitamento da parte di una società veicolo neocostituita, delle partecipazioni di controllo di un'altra società facente parte del medesimo gruppo del soggetto acquirente; e
ii) nella successiva fusione per incorporazione della società acquisita nella società acquirente.
Tale operazione è stata ritenuta elusiva da parte dell'Amministrazione finanziaria in quanto considerata posta in essere con il solo fine di abbattere il reddito imponibile della società acquirente tramite gli interessi passivi derivanti dal finanziamento. Secondo la tesi dell'ufficio accertatore, i medesimi risultati si sarebbero potuti ottenere, più linearmente, mediante una fusione con concambio di partecipazioni tra le due società, senza ricorrere ad alcuna forma di indebitamento.
La Corte di cassazione ha giudicato non elusiva la condotta tenuta dalle società nella considerazione che, nel caso di specie, si era in presenza di un processo di riorganizzazione societaria il quale, sebbene privo di un riscontro positivo immediato sul conto economico dei soggetti partecipanti, era comunque finalizzato ad ottenere un miglioramento strutturale e funzionale della catena partecipativa e delle società coinvolte. Sebbene tale obiettivo ben potesse essere raggiunto tramite la fusione con concambio ipotizzata dall'Agenzia delle entrate, detta soluzione non poteva essere considerata sic et sempliciter quale operazione più lineare rispetto a quella in concreto prescelta del contribuente.
In questa prospettiva, secondo la Corte di legittimità il preventivo acquisto delle partecipazioni di controllo della società da incorporare resta una condotta rientrante in una normale logica di mercato, che non può essere considerata una costruzione anomala o artificiosa per il solo fatto di aver comportato un risparmio fiscale rispetto a strade alternative giuridicamente percorribili (quale, ad esempio l'incorporazione diretta prospettata dall'Agenzia delle entrate).
3. La sentenza della Commissione Tributaria regionale della Lombardia n. 36 del 2011
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia è stata chiamata ad esprimersi su una particolare operazione di LBO in cui l'acquisto delle partecipazioni mediante indebitamento, effettuato da un soggetto che deteneva già il controllo della società target, risultava finalizzato a rilevare una partecipazione di minoranza detenuta da un soggetto terzo.
Anche nella fattispecie in esame, le contestazioni effettuate da parte dell'Amministrazione finanziaria riguardavano la deduzione degli interessi passivi sostenuti dalla società veicolo successivamente fusa nella società target, ritenuta operazione elusiva unicamente preordinata all'abbattimento del reddito imponibile della società risultante dalla fusione.
L'Agenzia delle entrate riteneva, infatti, che tale operazione fosse stata attuata al solo scopo di creare "artificiosamente" maggiori oneri finanziari, basandosi sull'assunto che la fusione non aveva avuto la finalità di acquisire il controllo della società incorporata.
La Commissione, nel respingere le tesi dell'Amministrazione finanziaria, ha riconosciuto espressamente la sussistenza di validi motivi che avevano indotto il socio di maggioranza ad integrare la propria partecipazione. Conseguentemente, gli interessi passivi derivanti dal finanziamento utilizzato per procedere all'operazione dovevano ritenersi totalmente deducibili. Inoltre, secondo i giudici della Commissione Tributaria Regionale, l'utilizzo di un veicolo societario di nuova costituzione era l'unico strumento idoneo a reperire i capitali necessari in quanto avrebbe consentito di:
i) dare alla banca certezza dell'effettivo indebitamento del cliente;
ii) imporre al veicolo il vincolo di non assumere ulteriori debiti rispetto a quelli finalizzati all'acquisto della partecipazione;
iii) attribuire alla banca una doppia garanzia consistente nel pegno sulle azioni della società target, nonché della società veicolo finanziata.
4. Considerazioni conclusive
Dalla disamina delle sentenze in commento emerge come sempre più frequentemente l'Amministrazione finanziaria, nell'ambito della propria attività di accertamento, disconosca la deduzione di interessi passivi nell'ambito di operazioni di LBO.
Tuttavia, a fronte di dette contestazioni, la posizione della più recente giurisprudenza si mostra attenta alla valutazione delle valide ragioni economiche poste a fondamento delle operazioni.
Ad esempio, secondo l'interpretazione della Commissione tributaria per la Lombardia, il disconoscimento della deducibilità degli interessi passivi, sulla base delle presunta elusività dell'operazione posta in essere, dovrebbe più correttamente fondarsi sulla strumentalizzazione delle disposizioni fiscali vigenti di volta in volta applicabili; in tal modo dimostrando come il comportamento posto in essere dal contribuente sia stato dettato unicamente da motivazioni di risparmio di imposta. Ebbene, nel caso in cui un contribuente ricorra all'indebitamento bancario al fine di acquisire una società target, in presenza di valide ragioni economiche sottese all'operazione (quali, ad esempio, la volontà di procedere ad una riorganizzazione del gruppo o di ottenere il consolidamento della propria partecipazione), la deduzione di interessi passivi deve considerarsi lecita.
Massimo Antonini
(massimo.antonini@chiomenti.net)
Raul Papotti
(raul.papotti@chiomenti.net)